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Controlli a distanza del lavoratore nelle piccole imprese e privacy: non basta il consenso dell'interessato

Controlli a distanza del lavoratore nelle piccole imprese e privacy: non basta il consenso dell'interessato

Controlli a distanza del lavoratore
 

Controlli a distanza del lavoratore nelle piccole imprese e privacy: non basta il consenso dell'interessato


L’attività di controllo a distanza sui luoghi di lavoro è un tema delicato e ricorrente, che coinvolge tutte le imprese e richiede un giudizio di bilanciamento tra due fondamentali valori: da un lato, le esigenze di efficienza produttiva della struttura, dall’altro la tutela del lavoratore in punto di riservatezza che non può essere oggetto di arbitrarie limitazioni.
La materia, com’è noto, è regolata dall’art. 4, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300/1970) che pone un espresso divieto di controlli a distanza del lavoratore, il quale subisce un’espressa deroga al secondo comma del medesimo articolo: l’impiego di impianti audiovisivi ed altri strumenti (dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori) è consentito esclusivamente:

  • per esigenze organizzative e produttive;

  • per la sicurezza del lavoro;

  • per la tutela del patrimonio aziendale.


La loro installazione ed operatività è subordinata, tuttavia, ad un previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.
In caso di mancato raggiungimento dell’accordo ovvero in caso di piccole imprese (fino a 15 dipendenti), tali impianti possono essere installati con un’autorizzazione amministrativa rilasciata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro competente per territorio. Tale obbligo è sancito dall’art. 114 del D.lgs. 196/2003 (non modificato nel contenuto dalla legge di attuazione del Regolamento GDPR 2016/679).
La violazione del divieto è sanzionata con l'ammenda o con l'arresto da 15 giorni ad un anno.
Proprio in merito alla necessaria sussistenza dell’accordo e dell’autorizzazione, la Suprema Corte è tornata a ribadire (cfr. sent. Cass. pen. 24 Agosto 2018 n. 38882) l’insufficienza del mero consenso del lavoratore all’installazione di telecamere quale presupposto di una causa di giustificazione dell’illecito comportamento del datore del lavoro, a nulla rilevando la realtà “familiare” dell’azienda.
L’episodio portato all’attenzione dei giudici riguardava l’installazione di alcune telecamere in un bar, posizionate in diversi punti del locale e collegate ad un personal computer, dal quale il datore di lavoro prendeva visione di tutti i dipendenti (4) senza aver ottenuto l’autorizzazione amministrativa.
I giudici di legittimità sottolineano, ancora una volta, che l’accordo con le rappresentanze sindacali costituisce un requisito inderogabile per il lecito utilizzo degli impianti audiovisivi sul luogo di lavoro, atteso che una dichiarazione di accettazione dell’utilizzo delle telecamere all’atto di assunzione potrebbe profilarsi viziata o, in qualche modo, condizionante l’inizio del rapporto di lavoro.
In conclusione, la Suprema Corte ha ribadito il seguente principio: “il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma (scritta od orale) prestato, non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalle fattispecie incriminatrici”.
D’altra parte, la predetta tematica non può prescindere dall’analisi del profilo della privacy, essendo necessario rendere edotti i dipendenti dell’esistenza di tali apparecchiature e delle finalità perseguite. Difatti, l’ultimo comma dell’art. 4 sopra citato stabilisce che “le informazioni raccolte ai sensi dei commi precedenti sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
Si ricorda che, alla luce delle disposizioni di attuazione del Regolamento UE n. 2016/679, l’informativa sull’installazione della privacy dovrà essere allineata al nuovo contenuto stabilito dall’art. 13 del Regolamento UE, delineando in modo specifico: le finalità del trattamento dei dati (e quindi della raccolta di immagini, suoni e video rappresentanti il lavoratore); la base giuridica del trattamento; l’esistenza del provvedimento autorizzativo o dell’accordo stipulato con le rappresentanze sindacali; i dati identificativi e di contatto del DPO se nominato; il periodo di conservazione (ventiquattro ore o quello indicato nel provvedimento autorizzativo); il posizionamento della cartellonistica che segnala gli apparecchi e la loro ubicazione; i destinatari dei dati, i soggetti autorizzati al trattamento e i diritti dei dipendenti/interessati.

17 settembre 2018

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